Al termine del week end comunque più felice nella storia del tennis italiano, con un bottino di due titoli sui quattro in palio tra il Tevere e Monte Mario, ho esaurito la scorta di aggettivi per elogiare Jasmine Paolini più Sara Errani e Jannik Sinner, ovviamente. La sconfitta in finale per 7-6 6-1 del numero 1 al mondo sarà ricordata come l’ultimo sfortunato episodio di nove giorni per lui fantastici, se si considera che per oltre tre mesi (“…tutt’altro che facili”, li ha definiti) non aveva partecipato ad alcun torneo. A batterlo oggi, poi, è stato Carlos Alcaraz, il numero 2 della classifica ATP, a conferma che l’attuale ciclo del tennis ha loro due come mattatori: alcuni ottimi comprimari, per ora, possono solo sperare di incrociarli in una giornata no.
La giornata è cominciata con la conferma che nel torneo di doppio femminile degli Internazionali le più forti sono, come l’anno scorso, Paolini ed Errani. Opposte a specialiste come la belga Elise Mertens e la russa Veronika Kudermetova, le medagliate d’oro olimpiche azzurre hanno compiuto la doppia impresa di prevalere dopo essere state sotto 0-4 in entrambi i set. Jasmine, esausta a seguito del trionfo di ieri (“…ho faticato ad addormentarmi”) ha trovato in Sara la solita motivatrice. Ha funzionato la sintonia tecnica e personale fra loro, ormai una coppia rodatissima. Il punteggio, 6-4 7-5, è eloquente, date le premesse: alle crisi, la lucchese e la romagnola rispondono con l’intelligenza e la determinazione.
Il clou della domenica era Sinner vs. Alcaraz. Il match ha avuto due fasi nettamente distinte, con molto equilibrio all’inizio e la prevalenza dello spagnolo più avanti. Senza accelerazioni né arretramenti, per dodici game il divertimento è stato garantito dai frequenti pezzi di bravura di uno o dell’altro. Si è ripetuto spesso lo schema del servizio a uscire con conseguente risposta centrale e definitivo vincente incrociato o lungolinea.
Il passaggio che ha cambiato la direzione del confronto è stato l’esito del dodicesimo gioco, quando Jannik alla risposta s’è trovato avanti 5-6 15-40: sprecati i due set point per eccesso di fretta, non se n’è procurato un terzo. Nel tie break, Carlitos ha gestito il minibreak in più e non s’è fatto riacciuffare (7-5). Il secondo parziale non ha mai visto l’italiano in grado di impensierire il murciano.
Mi viene facile citare qui pari pari quanto dice di Sinner la tedesca Andrea Petkovic, 37 anni, ex numero 9 WTA: “Dispone di un nucleo di identità celato dalla concretezza e dall’umiltà. (Quelli così) sanno chi sono e cosa vogliono. Sfruttano nel loro sport, sia esso il tennis piuttosto che il basket, l’istinto killer. La completa assenza di dubbi li porterà a livelli di prestazioni che noi mortali non potremo mai comprendere”.
Avevo intuito questa forza interiore sei anni fa, dopo la partita d’esordio del sudtirolese a Roma contro l’americano Steve Johnson, vinta grazie a un match point annullato e a cinque game successivi conquistati. In quello che rimane, finora, il mio unico faccia a faccia con lui, che pure ho visto e ascoltato in decine di conferenze stampa, disse: “All’inizio del match ho sentito la tensione che c’era nel Centrale. Poi sono andato in bagno, mi sono preso un po’ di tempo ed è cambiato tutto, anche perché il pubblico era con me. Sono sorpreso per quanto di buono mi sta accadendo, però il mio obiettivo non è vincere un match, ma fare del mio meglio a lungo nel mondo del tennis”.
Eccolo qui, nel pomeriggio romano, sei anni dopo, a tentare di sconfiggere il Solito Grande Rivale, di prendersi il ventesimo titolo ATP in carriera, di alzare la coppa che fu nelle mani di Adriano Panatta nel 1976. Non ce l’ha fatta, ma al termine del match mi è sembrato sereno, gratificato dal lavoro portato a termine in questi giorni. Ha promesso che al Roland Garros, che comincerà domenica prossima, avrà come primo obiettivo la rivincita su Carlitos. Analitico come al solito, ha però anche spiegato in conferenza stampa che gli manca “ancora un po’ di partita. Devo ritrovare l’intensità che deriva dall’abitudine a giocare i match, sulla terra posso imparare a muovermi meglio”. Perché, oltre all’identità solidificata, alla concretezza e all’umiltà individuate da Petkovic, la sincerità è un’altra qualità di Jannik.
Anche per Alcaraz mi affido a un giudizio di uno che di tennis ne capisce assai, lo svedese Mats Wilander, sette slam nella bisaccia da giramondo: “Quando lo guardo giocare, mi aspetto che certe cose accadano. Eppure sono convinto che per tutta la carriera convivrà con delle incoerenze. A volte compirà dei miracoli, ma altre volte non sarà così”.
Con due personalità come Jannik e Carlos, a noi basterà procurarci i popcorn, una birra, la poltrona e una tv. Al resto penseranno loro.